SE NON PRESTI ATTENZIONI A TUO FIGLIO PUOI INCORRERE NELL’IPOTESI DI ABBANDONO DI MINORE
Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 2857/18, depositata il 6 febbraio.
Il caso. La Corte d’Appello di Venezia, sezione minorenni, in conferma della sentenza del Tribunale per minorenni, dichiarava l’adottabilità di un minore.
Avverso la sentenza della Corte distrettuale la madre del minore ricorre per cassazione denunciando la lesione del proprio diritto di difesa in quanto non sarebbe riuscita ad esaminare le relazioni redatte dal servizio sociale, le quali, a suo dire, contenevano valutazioni relative allo stato di abbandono del minore nonché alle condizioni della ricorrente rilevanti ai fini dell’adottabilità.
Il diritto di difesa. Il Supremo Collegio rileva che il diritto di difesa della ricorrente non sia stato leso poiché, nonostante alla stessa fosse stato assegnato un difensore di fiducia, il quale aveva dichiarato di non riuscire a mettersi in contatto con l’assistita, dopo diversi mesi la ricorrente si costituiva con un difensore di fiducia. Inoltre, le relazioni menzionate dalla stessa e redatte dal servizio sociale risultavano in realtà inerenti al mero inserimento del minore nella famiglia affidataria «e dunque non presentavano rilevanza al fine della valutazione dell’abbandono e della posizione e condizione della madre».
L’abbandono ed il recupero genitoriale. La Suprema Corte, passando al profilo inerente l’adottabilità, ribadisce che lo stato di abbandono del minore, ai sensi della l. n. 184/1983 (Diritto del minore ad una famiglia. Adozione e affidamento), sussiste in caso di mancanza di assistenza morale e materiale dei genitori, dovendosi altresì considerare quale grave e irreversibile violazione degli obblighi genitoriali di educazione, mantenimento e istruzione. Ad ogni modo, «tale irreversibilità va correlata alle esigenze di armonico sviluppo dei minori, e dunque l’eventuale recupero della inadeguatezza genitoriale dovrebbe essere determinato, certo e ragionevolmente non lungo, dovendosi pertanto verificare la concreta possibilità di pregiudizio per il minore, dovuto all’incertezza e alla durata del percorso di eventuale recupero genitoriale».
Tuttavia, nel caso di specie, gli operatori del servizio sociale avevano accertato gravi carenze nelle cure ed attenzioni prestate al minore da parte della madre, in considerazione del rifiuto della stessa «di effettuare un percorso volto a risolvere le sue problematiche personali, che non riguardavano disturbi di natura psichiatrica o elementi patologici, ma difficoltà e malesseri di natura psicologica, individuate anche a mezzo di appositi test psicologici dei servizi sociali».
Pertanto la Corte rigetta il ricorso.
AVV. CARLO IOPPOLI – PRESIDENTE DEI FAMILIARISTI ITALIANI
lascia un commento