Le interconnessioni fra la mediazione familiare e l’intervento del servizio sociale con le famiglie.
Dr.ssa Luana De Santis (assistente sociale, Anfi Catanzaro)
“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” . Cito questa frase che fa da prologo al capolavoro di Lev Tolstoj, Anna Karenina, un grande romanzo storico, pubblicato intorno al 1877, che Tolstoj costruisce attorno ad alcune storie familiari, tratteggiando non solo dei raffinatissimi profili psicologici ma anche di modelli familiari più o meno funzionanti, più o meno felici, molto condizionati dal contesto culturale della Russia aristocratica del tempo. E poi c’è Anna, la nostra eroina romantica che, nella ricerca della strada per la felicità, si coinvolge in una relazione adulterina; perderà tutto, compreso la sua dignità e l’amato figlio in una spirale autodistruttiva che la porterà al suicidio. Tolstoj ci racconta una storia dove la forma, le convenzioni, il paternalismo, autodeterminano gli eventi senza che l’uomo possa porre rimedio. Rileggendo il bel romanzo, ho pensato che una mediazione familiare fatta bene, fra Anna e il marito Stepan, li avrebbe salvati entrambi, da un destino di grande infelicità e di allontanamento dal sé.
Vorrei provare a tratteggiare i confini e le interconnessioni fra la mediazione familiare e l’intervento del servizio sociale con le famiglie. Se provo a descrivere questa relazione tramite un’immagine, mi raffiguro due linee che provengono da luoghi vicini, che viaggiano parallele, che talvolta s’incontrano, addirittura si sovrappongano, s’interconnettono per poi distanziarsi nuovamente.
Procediamo per gradi.
Il servizio sociale, in misura via via crescente, è diventato un luogo di “trincea”, uno dei servizi più accessibili e vicini al cittadino, sia perché offre servizi e aiuti anche molto concreti sia perché è governato da un accesso universalistico e, cosa non del tutto indifferente in questo momento, totalmente gratuito.
E’ un sistema vitale dove approdano richieste e domande varie, di livelli, profondità, complessità differenziate. Un luogo dove viene portata la sofferenza, il bisogno, le paure, le incertezze, ma anche uno spazio e un’occasione di relazione, che può consentire alla persona di sperimentare un’esperienza positiva; un luogo per ascoltare e “pensare”, per coniugare la ricerca di reciproci significati, alimentata dalla curiosità intellettiva e dalla motivazione a capire ed approfondire.
Approdano ai servizi sociali non solo famiglie con difficoltà sociali, economiche, ma anche famiglie disorientate di fronte ai compiti educativi, assorbite in dinamiche relazionali complesse interne alla coppia, spesso avviluppate con i nuclei di origine, famiglie che fanno fatica ad essere veicolo educativo e di trasmissione di valori, norme, stili comunicativi e di condivisione nell’approccio con l’altro.
Dal nostro osservatorio vediamo famiglie che entrano in crisi di fronte alle tappe evolutive del ciclo di vita, connesse alla nascita e alla crescita dei figli, ad affrontare l’adolescenza, le difficoltà personali; talvolta lacerate di fronte alla separazione, al divorzio e al distacco. Ecco che il servizio sociale, come le altre professioni vicine, impattano con la mediazione familiare, talvolta ne utilizzano gli strumenti e la metodologia, talvolta affidando le coppie consenzienti ai servizi di mediazione, diventando uno dei maggiori invianti.
Assistiamo a separazioni conflittuali che ci confermano come il disagio sia solo in parte dipendente dalle risorse sociali e culturali, in quanto possono esistere elementi deprivanti anche in contesti familiari sufficientemente dotati dal punto di vista economico e del livello di istruzione, in cui l’elevato grado del conflitto di coppia comporta per i minori aspetti consistenti di rischio.
Gli operatori sociali si trovano ad affrontare situazioni familiari originali, differenziate, uniche di fronte alle quali tendono a mettere in atto una serie di interventi parimenti differenziati, mirati alle singole storie e ai bisogni contestuali; azioni che possano agire a livelli diversi e con intensità diverse sul minore, sulla famiglia, sui singoli genitori.
Azioni che scaturiscono sempre dalla necessità di trovare o ritrovare un accordo e una condivisione nel progetto con le persone, riconoscendo e partendo dalla definizione di sé che dà la famiglia.
Le famiglie, non solo quelle fragili, hanno la necessità di vedere riconosciuto e sostenuto il loro impegno nella crescita e formazione dei figli, di non sentirsi isolate nel contesto sociale, di avere dei luoghi aperti di confronto, non giudicanti, di ricercare un proprio stile di funzionamento.
La mediazione familiare fonda la propria efficacia sulla propria posizione di terzietà e neutralità mentre il servizio sociale non è neutro ma sta innegabilmente dalla parte dell’infanzia in quanto garantisce una funzione istituzionale affidata dalla normativa (DPR 616/75, TUEL, fino alla Legge RT 41/2005) ovvero la tutela dei minori e dei loro diritti. Ruolo che appare ancora molto importante, anche in questa fase dove il concetto di “minore età” sembra stia rischiando di non essere più un valore assoluto ma condizionato.
Quando viene meno il dialogo o altre circostanze impediscono la collaborazione e l’apertura di credito necessaria a cambiare comportamenti dei genitori che sono di serio pregiudizio ai figli, che rimangono l’anello più debole della separazione, talvolta triangolati e strumentalizzati, oppure non ci sono le condizioni e i tempi per trovare accordi che tutelino l’interesse superiore dei minori, il servizio sociale ha la responsabilità di richiamare i genitori verso un progetto possibile di responsabilità genitoriale condivisa e rispettosa dei figli, anche attraverso la segnalazione e la proposta all’Autorità Giudiziaria, in assenza di un impegno preciso, progetto che può avvenire anche attraverso un percorso di mediazione familiare.
Dal nostro osservatorio, assistiamo, ad una conflittualità che si alimenta di liti, tensioni, eccessi che richiedono l’intervento delle forze dell’ordine, della polizia municipale, dei vicini, degli assistenti sociali, del pronto soccorso, dei parenti; violenze fisiche, assistite, ricordi, denunce, in un’escalation che dimostra, in quel momento, l’incapacità degli adulti a tutelare i figli.
Bambini preoccupati, impauriti, paralizzati, che mettono in atto strategie difensive e trasformative a seconda del genitore che hanno di fronte, attraverso strategie di adattamento volte alla sopravvivenza emotiva ed evolutiva.
L’elevata conflittualità porta ad affrontare le crisi e la separazione in maniera esplosiva senza riuscire a trovare in se stessi elementi di riflessione, di rilettura, recupero e auto incoraggiamento.
Un dato, su tutti, ci fa riflettere sull’impatto e il peso della conflittualità è legato all’incremento della richiesta da parte del Tribunale ordinario o dei Minorenni di attivazione di incontri protetti in spazi neutri fra genitore non affidatario e i figli, come luogo e occasione di recupero delle relazioni e degli scambi comunicativi e affettivi. La coppia genitoriale sembra coinvolgere e contaminare nella conflittualità anche gli ambienti di vita, le abitazioni proprie, di parenti e amici, lasciando i genitori nell’impossibilità di identificare un luogo e uno spazio fisico e mentale di tregua. Quindi, spazi neutri non tanto o non sempre per “difendere” il minore dalla “pericolosità fisica o psicologica” di uno dei genitori ma dalla “pericolosità del gioco conflittuale” dei genitori.
Nelle situazioni più gravi il servizio sociale si trova ad agire e confrontarsi in un sistema articolato. Il contesto relazionale diventa affollato e talvolta caotico: giudice ordinario, avvocati di parte, periti di parte, CTU, nelle situazioni più gravi, giudice minorile. Nonni, zii, conviventi possono interferire faticosamente. L’intervento degli operatori territoriali (assistenti sociali, psicologi, NPI) cambia setting e rischia, insieme, di cambiare la propria mission e le proprie tecniche comunicative, perché le relazioni diventano “mediate” , più formali, meno confidenziali: insieme alla tutela del minore gli operatori sentono che deve fare qualcosa in più per la tutela del proprio operato.
Non è raro che genitori si presentino a colloquio dall’assistente sociale solo alla presenza dell’avvocato e non manifestino il proprio punto di vista se non condiviso con l’avvocato, in un fragile equilibro fra quello che si “sentirebbero di dire” e quello che è “opportuno dire.
Con fatica, a volte si costruiscono reti operative efficaci, di collaborazione fattiva e matura, interpreti dell’urgenza e della necessità di trovare accordi anche di medio termine .
La gestione della conflittualità può divenire un processo attivo di costruzione di una nuova identità e una opportunità di apprendimento sociale di nuovi schemi di funzionamento attribuendo senso e valore al progetto familiare e non a discapito del progetto familiare. Spesso dimentichiamo che una “buona” coppia non è quella senza conflitti, ma è quella in cui questi sono riconosciuti, affrontati, attraverso un approccio volto alla negoziazione, cooperazione e alla nuova ideazione, come avviene nella mediazione.
Infine, la natura multiforme degli interventi promozionali, di tutela e di cura dei minori e delle loro famiglie richiedono il contributo di ruoli professionali diversi, con gradi di partecipazione, di competenze, di responsabilità, di risorse differenziate. Privilegiare una modalità organizzativa
integrata permette di congiungere più contributi, in un’ottica di multifattorialità dell’origine dei bisogni sociali e del conflitto e di pluri-competenza della risposta, suggerendo percorsi d’integrazione dei saperi e ottimizzazione delle risorse.
La normativa in materia di servizi sociali punta alla gestione unitaria e integrata degli interventi socio-sanitari mediante concertazione e cooperazione di tutti gli attori coinvolti, a livello istituzionale, gestionale e professionale.
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